Qualche anno fa mi proposi anch’io alla Panini come sceneggiatore per le storie del "Topo", scrivendo una lettera di presentazione alla redazione di via Lampedusa a Milano con allegato un soggetto originale che, però, non piacque. Il caporedattore Davide Catenacci mi ricontattò un paio di mesi dopo l'arrivo della missiva, con una telefonata esplicativa dei motivi per i quali non intendeva prendere in considerazione la mia candidatura: non era stato apprezzato il troppo "sperimentalismo".
Articolo già pubblicato sul periodico Fumo di China n.285 dell'aprile 2019.
Avevo ideato un intreccio che vedeva coinvolti personaggi di insolita convivenza: Pippo (storico comprimario di Topolino) e Dinamite Bla (personaggio delle vicende dei paperi). La mia scelta era dovuta al fatto che ho sempre amato storie in cui avevano a che fare eroi di entrambi gli "universi" (Paperopoli e Topolinia): ricordo con piacere una delle prime avventure Disney - targata Mondadori - che io abbia mai letto, un classico del 1982 scritto in coppia da Guido Martina e da Romano Scarpa e disegnato da quest'ultimo, "La storia di Marco Polo detta Il Milione", dove figuravano insieme Topolino, Minni, Pico, Archimede, Paperino, Paperone & Co.
Una storia del 1982 disegnata da Romano Scarpa
Al di là di poco rilevanti note autobiografiche, è bene sapere (e lo dico dopo averci sbattuto il "muso" nonostante i consigli ricevuti da un noto autore Disney) che per un esordiente non è mai consigliabile porre storie che vadano fuori dai canoni abituali. E' poi vero che la concorrenza è enorme e agguerrita: sebbene da anni il fumetto sia (irrimediabilmente?) in crisi, il numero (in generale) degli aspiranti professionisti è cresciuto in maniera esorbitante da pochi anni a questa parte e - sembra strano stare a parlare come se ciò fosse un difetto - purtroppo, per questo, per un artista è sempre più difficile riuscire a distinguersi e approdare così in importanti realtà editoriali. Eppure mai come oggi i giovani cercano di arrivare a case editrici come Panini e Bonelli. Sì, perché l'unico modo per sentirsi un po' meno precari pare essere quello di entrare a far parte di grossi gruppi, anche se nessuno mai potrà garantire stipendi fissi pur fra questi.
Come si fa, allora, a capire quali sono le soluzioni da cercare, quelle che per i redattori soddisfano i gusti degli attuali lettori? Esiste davvero il tanto agognato “stile Disney”? A queste domande non c'è forse risposta che possa mettere tutti d'accordo.
Il redattore altri non è che un funzionario alla costante ricerca della migliore interpretazione in materia di evoluzione delle storie e del segno, per il raggiungimento degli standard richiesti dal mercato (anche se, in virtù di ciò, mi fa strano vedere come autori così tanto diversi riescano a coesistere all'interno di un libretto che vorrebbe distinguersi per "stile"). Problema più evidente (tutt'altro che risolvibile), la soggettività del tutto: da un'idea che traccia un percorso, può capitare che a volte si intraprenda una strada per decisioni non sempre encomiabili.
Detto questo, parlando del segno, sui social sono molti gli artisti che via via pubblicano immagini di tavole di prova e si resta senz'altro sbalorditi nel realizzare come il livello qualitativo del tratto sia migliorato da un po' di tempo a questa parte rispetto ai pur bravi pionieri italiani.
Dopo la ventennale esperienza dell'Accademia Disney, ormai chiusa, in tanti cercano di uniformarsi al tratto del principale autore di riferimento per i disegnatori umoristici di oggi: Giorgio Cavazzano (in casa Disney sono presenti autori che hanno fatto proprie le linee pulite e i tratti morbidi del "buon" Giorgio: per citarne alcuni, Luca Usai, Roberto Vian e Libero Ermetti). Ma questo, spesso, non basta a fare entrare un nome nelle scuderie del “Topo” e risulta forse essere scoraggiante, per chi tenta, vedere come artisti dal segno invece estremamente personale riescono a lavorare per il libretto.
Una storia del 2015 disegnata da Luca Usai
Un tempo - nel periodo "pre"-Cavazzano - fra gli "originali" c'erano disegnatori come Sergio Asteriti, intramontabile, con le sue "cicciute" interpretazioni, ma oggi sono apprezzate anche le soluzioni della tanto osannata Silvia Ziche (minimalista, coraggiosa soprattutto nelle espressioni di Mickey, forse troppo "vignettista" per un periodico a fumetti), del "gotico" Fabio Celoni (in Disney da quando aveva diciannove anni di età: un record in Italia), del dinamico e "spigoloso" Alberto Lavoradori e dello "special guest" Massimo Bonfatti - dotato di un tratto sviluppato negli anni di collaborazione con autori come Bonvi e come Silver - "prestatosi" al libretto per degli interessanti "duetti" con il geniale Casty (al secolo Andrea Castellan, uno dei pochi autori completi che si sono formati prima come sceneggiatori, poi come disegnatori. Si è praticamente reinventato l'universo topolinese, dando nuova linfa alle sue storie).
Casty e Massimo Bonfatti nel 2015
Una nota a parte, parlando di peculiarità del segno, merita anche un autore come Massimo Dotta, attivo soprattutto negli anni '80 (uno di quelli che hanno vissuto il passaggio dalla Mondadori alla The Walt Disney Company Italia S.p.A. del 1988), che realizzava tavole con una maggiore leggerezza rispetto a molte delle nuove leve e di quelle del suo tempo. Ne è esempio la storia "Pippo e l'erba voglio", uscita su TOPOLINO n.1767 dell'8 ottobre 1989 scritta da Bruno Concina, nella quale i personaggi risultano disegnati in maniera imprecisa e, addirittura, nelle ultime vignette la strega Nocciola ha una fisionomia che non regge. Considerazioni, queste, che prescindono tuttavia da un fatto alla luce del quale si rivaluta l'intero suo lavoro: i disegni di Dotta regalano comunque delle belle emozioni, quelle delle storie d'antan. Pecca, quindi, oppure "stile"?
Una vignetta dalla storia "Pippo e l'erba voglio" del 1989, disegnata da Dotta
Sicuramente, è bene dirlo, a fare la differenza sono anche gli inchiostri (e non dimentichiamo che, per ragioni di tempo, molti autori non ripassano da sé le proprie tavole lasciando ad altri il compito della china. Ma ci sarebbe da parlare poi degli effetti ottenuti con le tecniche digitali che una volta non c'erano) o, ancora, i colori. Così, tra fumetto e fumetto, si trovano linee a volte più leggere, a volte più marcate, particolari più o meno definiti, ombre e luci di maggior contrasto e così via, a seconda dello "stile" richiesto o voluto.
Donald Soffritti puntualizza alcuni dei concetti base dell'inchiostrazione, nel tutorial pubblicato a suo tempo su questo stesso portale (vedi China Disney by Donald Soffritti). Scrive: «Come immagino avrete notato, Disney ha un tipo di inchiostrazione molto particolare: uno stile rotondo piacevole, caldo, che da sempre influenza più in generale anche il segno del fumetto umoristico europeo. Il compito base dello stile di inchiostrazione del fumetto Disney, molto importante, è quello di rendere "tridimensionale" - quindi, "credibile" - il disegno stesso. Dare tridimensionalità vuol dire "dare volume". La sua caratteristica è quella del segno modulato sottile-grosso-sottile, ovvero un segno che parte sottile per poi prendere un certo spessore in base al piano di profondità in questione per poi tornare sottile. Per rendere agevolmente tale effetto si utilizza il pennello, che permette di modulare il segno a piacere con la sola pressione della mano».
Ma se è vero che il disegno - come detto, fortemente migliorato nel tempo - è la componente che permette una critica di maggiore immediatezza in un fumetto, è anche vero che spesso si sente dire che il calo di vendite dei prodotti della "Nona Arte" è accompagnato da un forte calo nella qualità delle storie (e torniamo qui all'incipit del presente l'articolo). E' quindi vero che sempre più giovani imparano bene a disegnare, ma manca un valido ricambio tra le file degli sceneggiatori? Questo è da vedere. Quello che io penso è che sicuramente le caratteristiche delle storie sono cambiate rispetto a quelle degli anni passati, perché sono cambiati i tempi, e la crisi del settore è altra faccenda, riconducibile senz'altro a più incontrollabili fattori.
Ma ci sono delle chicche.
Nella storia "I tre nipotini e la giornata del tempo perduto" uscita nell'Almanacco Topolino n.260 dell'agosto 1978, soggetto e sceneggiatura del già citato Guido Martina e disegni del "solito" Cavazzano, Qui Quo e Qua (come nelle storie di Martina in genere) godono di una personalità piuttosto bambinesca sulla falsa riga degli esordi nelle tavole delle Silly Symphonies e nei fumetti di Carl Barks e di Al Taliaferro. Sono quindi diversi rispetto alle avventure da "Giovani Marmotte" in cui, vispi e capaci (sicuramente più degli zii), hanno a che destrarsi in mirabilanti avventure con casi da risolvere tanto nei mari, quanto ai Poli o nelle foreste.
Giorgio Cavazzano nel 1978
Martina non tiene conto dell'evoluzione del character voluta a suo tempo da Barks, ma sfrutta i nipotini a suo piacimento con un background che si adatta agli sviluppi che lui vuole proporre. E il tema di base si giostra su due dei più banali argomenti da trattare: "scuola-lavoro", assecondando una maggiore semplicità contenutistica rispetto alle più recenti avventure. I tre nipoti hanno a che fare con un Paperone cinico ed egoista, come sempre e più di sempre: questa volta lo zione non risparmia neanche loro.
Incoraggiati da un brillante risultato scolastico, Qui, Quo e Qua decidono di chiedere un premio. Il ricco papero donerà loro tre biglietti per il cinema, ma solo - e qui nasce l'inganno - al compimento, da parte loro, di noiose attività lavorative. L'epilogo è uno dei più (dis)educativi di sempre: la morale mostra un bieco sguardo nei confronti sia dell'impegno che del disinteresse. La storia, comunque, oltre ad essere originale è anche godibile (tutte le pagine sono disponibili, per la lettura, su internet: è possibile visualizzarle e scaricarle dal sito https://onedrive.live.com/. Per trovarle, basta fare una ricerca su Google inserendo il titolo ed uno dei primi risultati vi indirizzerà al link proposto da un post della pagina facebook di Guido Martina).
Fatto è che gli autori maggiormente riconoscibili, che danno una particolare impronta sia ai soggetti che alle sceneggiature e ai disegni delle proprie storie, sono da sempre quelli più discussi ma - spesso, motivatamente - anche i più apprezzati.
Tiziano Sclavi nel 1989 dichiarò: «Un grosso funzionario della Mondadori diceva a Giorgio: "Lei è un grande disegnatore, ma a noi serve Walt Disney, non Giorgio Cavazzano". Voleva dire che, giustamente, c'era poco spazio per interpretazioni personali in un mondo così chiuso e perfetto come quello topolinesco. Be', Giorgio c'è riuscito, nel corso degli anni, a essere Cavazzano e Disney insieme».
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Emanuele Upini