Giuseppe Garibaldi a fumetti - Ricordi di Manlio Bonati

Ho ritrovato, di recente, nel mio solaio delle copie di un progetto per una serie a fumetti, che poi non si è realizzata.

Probabilmente l’epoca è il 1981, quando ancora abitavo a Milano. Luigi F. Bona e Franco Fossati, cari amici degli anni della mia gioventù (il secondo, purtroppo, ci ha lasciato da tempo), mi chiesero di buttar giù delle idee per una saga dedicata alla vita e alle avventure di Giuseppe Garibaldi. Avrebbero pensato loro al disegnatore e a presentare delle tavole di prova agli editori milanesi. Il mio sincero e grande amore sia per la Storia (in particolare quella dell’Ottocento e della prima metà del Novecento) sia per il Fumetto mi spronò a pensare alla grande!

Premetto che il progetto non andò in porto né sono a conoscenza a chi fu fatto vedere. L’Eroe dei Due Mondi, comunque, non doveva essenzialmente essere il protagonista di questa saga garibaldina. Lo erano senz’altro i posti dove aveva vissuto e combattuto, ma ogni episodio avrebbe avuto come personaggi principali dei suoi soldati, per l’appunto dei garibaldini (esistiti realmente oppure di fantasia). Avevo optato per questa scelta per evitare di realizzare un fumetto didascalico. Invece l’avventura, il movimento, il pathos, la storia romanzata dovevano avere il sopravvento sulla pura e semplice biografia di Garibaldi.

Il volume (ora si dice graphic novel) sarebbe stato di ben 138 pagine, mentre il titolo provvisorio era il seguente: Avventure garibaldine.


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Francamente oggi della saga mi ricordo veramente poco.

Bona e Fossati trovarono un valido artista in Manlio Truscia (curioso il fatto che sia il soggettista che il disegnatore si chiamassero Manlio, nome del tutto poco usato), che ebbi il piacere di conoscere ed apprezzare.

Ritenni più consono fargli disegnare l’inizio dell’epopea della Spedizione dei Mille, quella conosciuta da tutti, editori compresi. Sottoposi al mio omonimo un’idea per la Tavola di Presentazione con tanto di fotocopie con documentazione storica allegata (è sempre stato mio costume consegnare i miei testi con illustrazioni e fotografie storiche d’epoca affinché il disegnatore fosse aiutato a dovere e non sbagliasse con le armi, divise, volti, località, ecc.), da tenere presente che internet non c’era, quindi la mia fornitissima Biblioteca era a disposizione del lavoro.

I protagonisti erano dei semplici garibaldini dei Mille, quindi veramente esistiti, e si chiamavano Luca Delfino e Palmiro Palmieri. Delfino lo scelsi perché da bambino conobbi un suo discendente genovese e lo feci raffigurare com’era il mio nonno Delfino, mentre per Palmieri è tabula rasa. Probabilmente la scelta cadde perché era giovane e belloccio. Manlio Truscia fu molto bravo nel rendere al meglio questa tavola che doveva spiegare con il disegno il 1860 e le intenzioni dell’opera:

Per la tavola uno ritenni opportuno far partire l’avventura dagli scogli di Quarto e come documentazione fornii a Truscia la riproduzione del quadro del pittore tedesco Paul Constantin Tetar von Elven. Questa vignetta era grande, d’insieme. Le due sottostanti vignette mettevano in primo piano il vecchio Luca Delfino e alcune problematiche della Spedizione dei Mille (vedi la parte di sceneggiatura per la tavola uno):


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Dalla tavola due si passa alla sette (le mancanti non furono mai disegnate) con molte vignette dedicate al giovane Palmieri e al collerico Nino Bixio (vedi la parte di sceneggiatura per la tavola sette).

Devo dire che c’era molta sintonia tra il testo immaginato da me e il lavoro finito da Truscia:


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Altro salto cronologico: venne realizzata la tavola 13 (vedi la parte di sceneggiatura per la tavola tredici) in piena battaglia di Calatafimi (notare che nella battitura ho scritto Calatafini!!! Mea culpa! Mi auguro fosse un errore di battitura!). Delfino e Palmieri combattevano con eroismo i borbonici, mentre Francesco Nullo a cavallo si stagliava, sciabola in pugno, nella lunga vignetta centrale:


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Tutto qui. Francamente provo grande tenerezza nel rivedere questo lavoro, che – forse – avrebbe potuto avere un po’ più di fortuna.

Manlio Bonati