Premetto di essere, quanto a disegno, un assoluto autodidatta e di non considerarmi un disegnatore “vero”, men che meno un illustratore: ciò che mi ha sempre appassionato è l’inventare e raccontare (o cercare di farlo) storie, scritte o disegnate che siano.
Iniziai a usare l’inchiostro di china da ragazzino, per le vignette che scarabocchiavo fin dalla prima infanzia, con un rapidograph regalatomi da mio fratello maggiore, geometra. In seguito (sempre da ragazzo) passai a penna e pennino, che non frequentavo dall’epoca delle elementari (appartengo, credo, all’ultima generazione che ebbe ancora a che fare con il calamaio, in una scuola non troppo dissimile da quella di “Cuore”) e che da allora non ho più abbandonato.
Fin che sono riuscito a reperirli ho utilizzato i mitici pennini “Perry”; adesso ricorro a quelle cannucce con pennino che si trovano (sempre meno facilmente) nelle cartolerie. Magari esistono strumenti più sofisticati, ma io, da impenitente autodidatta, proseguo imperterrito.
Di recente ho acquistato una Brush Pen, penna con punta a pennello, ricaricabile con cartucce di inchiostro, che è oggettivamente uno strumento fantastico, ma che non ho ancora imparato a usare bene (e non so se mai ci riuscirò).
Una breve digressione sui pennini: come sa chi è abituato a utilizzarli, benché all’apparenza sembrino tutti uguali, ognuno di loro ha una propria spiccatissima personalità. C’è il tipo troppo estroverso, che una volta intinto nella boccetta tende a sparare rapidamente tutto il suo contenuto, e il taccagno stitico, che invece produce solo fili sottilissimi e stentati; e che dire del caparbio che si impunta come un mulo e non ne vuole sapere di emettere nemmeno una goccia? Insomma, con i pennini c’è da soffrire: bisogna avere pazienza e cercare di ammaestrarli, il che non sempre riesce...
Quando (evento rarissimo) capita di trovare quello ideale, capace di seguirvi fedelmente scorrendo senza mai intaccarsi e di prodursi senza fatica in ogni possibile variazione di spessore della linea volteggiando agile sul foglio, bisogna tenerselo caro e trattarlo con ogni cura; il giorno in cui, dopo una lunga e onorata carriera, esala il suo ultimo trattino nero, è luttuoso: ci si dispera, si fatica a staccarsi da lui e si vorrebbe inumarlo dedicandogli una lapide. Qualche tempo fa, preso da raptus poetico-grafico, ho anche composto un’“Ode al pennino”...
Ma stop alle divagazioni e ai sentimentalismi: per quanto riguarda la presente vignetta, ho usato: cannuccia con pennino e inchiostro di china; pennarello a punta grossa Pentel Pen N50 per il nero dell’orecchia del ronfo; pennarello a punta media Paper Mate per Ciofo e per il lettering. La colorazione l’ho fatta al computer con Photoshop, che da qualche anno uso sempre di più (e sempre da autodidatta, quindi sicuramente in modo inadeguato alle sue possibilità).
Adriano Carnevali